#02 Woodland – Andrea Papi

Monkeyphoto #2
Woodland – Andrea Papi

print in Spring 2014
Limited edition – 140 copies
48 Pages
27 photos
Softcover 21×15 cm
price: 10€


 

[english version below]

L’incontro con la Natura è l’avvicinarsi dell’uomo all’Infinito, a quell’immensamente grande che terrorizza e attrae allo stesso tempo. Nella Critica della Facoltà di Giudizio Immanuel Kant spiega il rapporto con la natura ostile proprio mediante il concetto del Sublime, inteso come sentimento che nasce in noi da qualcosa di avverso, che l’uomo nella sua finitezza non riesce a controllare, ma di cui allo stesso tempo se ne sente fortemente attratto e galvanizzato. Poiché l’animo è al contempo sedotto e respinto dalla natura, il piacere del Sublime viene definito un «piacere negativo».

Oggi siamo abituati a considerare il bosco come un luogo disabitato, poco tracciato, zona inesplorata di cui avere timore, con la sua vegetazione lasciata ad una crescita incontrollata. Tradizionalmente invece il bosco era un luogo di attenzione ed intervento, fulcro per eccellenza delle storie popolari. Il bosco è, in effetti, ricco di una forte valenza simbolica, considerato generalmente come il posto della non-cultura, del magico, del misterico popolato da streghe, fate, animali di ogni tipo. A livello dell’immaginario basti pensare ai tanti esempi lasciati dalla letteratura e dal cinema. Inteso come un al di là rispetto al dentro di una casa, è l’Irrazionale, il Fuori spaventoso che nasconde pericoli e soprusi, dove i fuggitivi trovano rifugio e gli animali sono lasciati alla loro indole. Nelle tradizioni ataviche, studiate da etnologi ed antropologi, il bosco rappresenta il luogo dell’altrove, dove si attuano riti di passaggio, di viaggio esterno ed interno, di uscita e di rientro.

Non c’è fiaba che non preveda un viaggio attraverso il bosco. Generalmente è un viaggio che percorre delle tappe come espressione delle angosce più recondite che l’uomo deve superare. Sostanziale per la scenografia della fiaba sono due luoghi somiglianti  nel  loro  essere  ambedue  oscuri  e  misteriosi: il bosco e la nostra mente. Attraversando l’intrico di rami e cespugli, con un orizzonte chiuso da tutte le prospettive e  un’apparente  ripetizione  della  visuale,  siamo  costretti a confrontarci con noi stessi. Osservare senza essere visti necessita pensiero, uscita da sé e ricomprensione del proprio agire.

In questi luoghi (spesso ubicati all’interno del tessuto cittadino) dove non c’è alcun intervento umano, il paesaggio segue indisturbato il suo corso di vita/morte/rinascita. Le forme di vegetazione che prendono vita nei cicli di decenni sembrano architetture viventi, nate le une dalle altre, che in alcuni casi realizzano delle vere e proprie barriere, o che inaspettatamente si aprono, tracciando un percorso.

L’indagine di Woodland vuole chiedersi se sia più pericoloso ancorarsi  alle  proprie  ritualità  e  sicurezze  scritte  dal vivere sociale o se la ricerca di qualcosa di sempre nuovo, sconosciuto, non porti inevitabilmente a perdersi in ciò che per sua natura è insondabile e più grande di noi. La sequenza di fotografie non offre riparo allo spettatore (invitato non tanto ad entrare quanto ad
essere già dentro) ma lo proietta in un luogo senza tempo. Siamo di fronte ad un dialogo primordiale, dove l’uomo cerca di riafferrare il rumore di fondo dei luoghi dell’infanzia della civiltà. Tutto si ferma, lì dove i passi nell’erba, i sentieri nella nebbia, gli alberi innevati hanno come sfondo l’onnipresente agguato dell’ignoto e del buio.

Chiara Bertini

Andrea Papi (Roma, 1978) studia fotografia presso l’agenzia Vision. Dopo aver lavorato due anni come assistente della fotografa di moda Roberta Krasnig, intraprende la sua ricerca personale, lavorando quasi esclusivamente con la lomografica HOLGA.

Mostre personali: Passaggi. Autoritratti dell’invisto, FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma X edizione, Spazio MuGa + Merzbau, Roma, 2011; Poesia in forma di rosa (omaggio a Pier Paolo Pasolini), Whitecubealpigneto, Roma, 2010; Album di famiglia, FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma VIII edizione, Palazzo Mattei di Giove, Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma, 2009; Noise from a cellar, Officine Fotografiche, Roma; Holga, FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma VI edizione, Project Room A.K.A., Roma; DECA/dance, Pho-To’35 Gallery, Torino 2007.

Mostre collettive: 54^ Esposizione Internazionale d’arte – Biennale di Venezia – Padiglione Lazio, Palazzo Venezia, Roma, 2011; Testamento geométrico, Fotoleggendo VI Edizione, I.S.A., Roma, 2010; Dov’è andato il cielo? L’arte a sostegno di Fitil, Galleria Sala 1, Roma; Contemporanea: l’Arte a Venezia per Emergency, San Marco Casa D’Aste, Venezia 2008; On The Set, Rialto Sant’Ambrogio, Roma 2007.


The human relationship with Nature is an approach to the Infinite, to the immensity that horrifies and attracts us at the same time. In the Critique of Judgement, Immanuel Kant explains  the  relationship  with  the  hostile  nature through the concept of the Sublime, which is intended as the feeling that arises in ourselves from something adverse and that the human being, in his finiteness, cannot control but to whom he feels strongly attracted and galvanized at the same time. Since the soul is at one time seduced and repulsed by nature, the pleasure of the Sublime is defined as a “negative pleasure”.

Nowadays we consider the wood as an uninhabited, barely outlined place. An unexplored space to be afraid of with its vegetation left to an uncontrolled growth. Traditionally the wood used to be on the contrary a place of intervention where to pay attention: the central cornerstone of folk stories.
The wood has, in fact, a rich symbolic value: it is generally considered as the place of the non-culture and magic. A mysterious inhabited by witches, fairies and animals of all kinds. From the imaginary point of view one should bear in mind all the examples  taken from literature and cinema. Intended as a sort of beyond in reference to the inside of a house, it is the Irrational, the eerie Outside itself that hides dangers and injustices, where runaways find refuge and the animals are left to their nature. In the ancestral traditions studied by ethnologists and anthropologists, the wood represents the place of the elsewhere where rites of passage, of outer and inner journeys, of going out and coming back take place.

There is no fairy tale that does not include a journey into the wood. It is generally a journey that covers every stopover as the expression of the most hidden anguishes that the human being has to overcome.
Two places are essential to the background of the fairy tale, resembling each other in being both obscure and mysterious: the wood and our mind. We are obliged to face ourselves through the tangle of branches and bushes, with some sort of skyline circumscribed from all perspectives and an apparent repetition of the visual line. To observe without being seen requires a thinking process,  self-detachment and a new understanding of our own attitude.

In these places (often located within the urban fabric), where there is no trace of human intervention, the passage follows undisturbed  its  course  of  life/death/rebirth.  The  types  of vegetation having appeared over the decades resemble to living architectures that have come to life from one to the other and in some cases have built out-and-out barriers, or unexpectedly have opened themselves tracking a path.

The research of Woodland wants to enquire whether it’s more dangerous to anchor oneself to those rituals and certainties foreseen in the social living or to always strive for something new and unknown doesn’t bring inevitably to loose oneself in what is, by its nature, unfathomable and greater than us. The sequence of photos doesn’t offer shelter to the spectator (who is invited more to be already inside rather than taking part into it) but it projects him in a timeless place. The photographic medium records something that exists beyond the observer putting ourselves in a state of pure contemplation: we are face- to-face to a primordial dialogue where the human being tries to regain the ground noise of the birthplaces of civilisation. Everything ceases precisely where the footsteps on the grass, the paths in the fog, the trees covered with snow, have the omnipresent pitfall of the unknown and the dark as background.

Chiara Bertini (tr. Natalia Mandelli)

Andrea Papi (Rome, 1978)  studied photography at the agency Vision. After working two years as an assistant for the fashion photographer Roberta Krasnig, he began his personal research, working almost exclusively with the Lomographic HOLGA.

Personal exhibitions: Passaggi. Autoritratti dell’invisto, FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma X edizione, Spazio MuGa + Merzbau, Roma, 2011; Poesia in forma di rosa (omaggio a Pier Paolo Pasolini), Whitecubealpigneto, Roma, 2010; Album di famiglia, FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma VIII edizione, Palazzo Mattei di Giove, Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, Roma, 2009; Noise from a cellar, Officine Fotografiche, Roma; Holga, FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma VI edizione, Project Room A.K.A., Roma; DECA/dance, Pho-To’35 Gallery, Torino 2007.

Collective exhibitions: 54^ Esposizione Internazionale d’arte – Biennale di Venezia – Padiglione Lazio, Palazzo Venezia, Roma, 2011; Testamento geométrico, Fotoleggendo VI Edizione, I.S.A., Roma, 2010; Dov’è andato il cielo? L’arte a sostegno di Fitil, Galleria Sala 1, Roma; Contemporanea: l’Arte a Venezia per Emergency, San Marco Casa D’Aste, Venezia 2008; On The Set, Rialto Sant’Ambrogio, Roma 2007.

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