#01 Calce – Danilo Palmisano

 

Monkeyphoto #1
Calce – Danilo Palmisano
print in September 2012
Limited edition – 50 copies
44 Pages
23 color photos
Softcover 17×21 cm + 1 photo 12×12 cm


Dice che la Polaroid Corporation ha smesso di produrre pellicole analogiche qualche anno fa e un gruppo di persone sotto l’etichetta The impossible project ne ha raccolto l’eredità, solo che costano care e sono molto instabili. Io e Danilo viaggiamo su una Renault 4 targata BR per la Puglia lungo quella striscia di terra mare e ulivi che va dalla provincia di Bari a quella di Lecce e siamo momentaneamente fuori dal ritmo lavoro-traffico-gente ridondante che caratterizza la nostra quotidianità lavorativa. È maggio 2012 e Danilo mi spiega tutte ‘ste cose sui formati della polaroid mentre guida e guarda fuori dal finestrino la Puglia che in fondo è la sua terra e al suo ritorno pretende attenzione come una madre che non ti vede da anni. O forse guarda fuori perché sa che certe domande sulla fotografia (profondità di campo, diaframma, formato polaroid eccetera) gliel’ho fatte già durante il viaggio, già a pranzo, già due anni prima e le sue risposte puntuali vengono spazzate via dalla mia memoria e quindi ogni giorno deve ricominciare da zero. Insomma pure io guarderei fuor i se dovessi parlare con me di fotografia. Soprattutto se fuori c’è la Puglia.
La polaroid di cui ho sempre percepito l’immediatezza, ti costringe invece a aspettare il momento giusto, il numero di pellicole a disposizione ti fa tornare indietro all’epoca pre-digitale in cui c’erano delle scelte che ne escludevano altre.
La Puglia si presenta con colori caldi, tinte tenui e entra un po’ sfrangiata, quasi a fatica, nei quadrati che sono queste foto. È come se Danilo, con l’utilizzo di questo supporto, decidesse di fermarsi un attimo prima, come una persona che sta sulla soglia e aspetta il permesso del padrone di casa per entrare. Non è affatto una questione di buone maniere, la Puglia è la sua terra e come emigrante di ritorno avrebbe diritto a usare anche un rozzo flash turistico. Il fatto è che i confini poco netti, la bassa definizione, gli sfarfallii cromatici dovuti a quel momento in cui esce la foto e la metti al riparo dalla luce solare come fosse un neonato albino in Equatore, conferiscono ai soggetti rappresentati un’esitazione , una tacca di ghiera in meno nella messa a fuoco, un movimento di sogno. Un sogno da cui ti sei appena svegliato e al quale, siccome quella mattina non lavori, puoi dedicare tempo per ricostruirlo piano piano davanti al caffè. Solo che manca sempre qualcosa e inevitabilmente lo completi, aggiungi confini, particolari, cause, effetti. È così che mi trovo di fronte a queste foto: il paese che si dissolve nel bianco, il mostro abusivo abbandonato, le schiere di ulivi, il sentiero alberato, gli ombrelloni a schiera come gli ulivi e le fughe al di là della foto.
A volte il mondo racchiuso nella foto è autosufficiente, la storia possiede un inizio e una fine: nei dettagli architettonici dei trulli, nelle barchette a riva, in un albero solitario sulla spiaggia deserta. È un luogo che percorri con lo sguardo e i tuoi occhi non hanno bisogno di andare oltre i bordi, gli elementi della foto sono bilanciati e qualunque sia l’emozione che provi guardandola, la cornice della foto la racchiude bene, la rende esatta. Però anche questa precisione è minacciata dall’instabilità, come se la luce del risveglio stesse per prendere il sopravvento e cominciasse piano piano a mangiarsi i colori e lo spazio.
Altre volte il mondo non riesce a starci dentro, lo sguardo è condotto al di là della cornice. L’immagine ti sfida a superare la soglia piano, uno sguardo come una carezza, e a immaginare quale parte di te ci sia oltre quella soglia, quale parte di te ci sia nel sogno. E ci vuole tempo, chiaro, bisogna tornarci sopra con lo sguardo più volte, ma, e questa è la cosa feroce e straordinaria di queste immagini, poi vengono con te mentre fai altro, magari sei tornato al tuo lavoro demolisci-sogni-notturni, e appaiono e allora riesci a fare quel passo in più oltre la soglia e scopri altre stanze della casa e scopri che nella casa dentro di te ci sono gli ulivi, il mare, costruzioni abbandonate e ombrelloni fermi ad aspettare il vento e lampioni illuminati dal sole, sentieri alberati verso un punto indefinito e soglie marcate da due pali, due alberi e due marmi che ti pongono dubbi e ti portano, se decidessi di percorrerli, in una zona altra che la foto non spiega né vuole farlo, che non sai se è un invito o un monito al viaggio.
Una delle cose belle del viaggiare insieme a Danilo è vedere come viene toccato dal paesaggio. Tu sei lì che parli e gesticoli cercando di rabberciare un discorso sensato e lui improvvisamente non c’è più: insomma capito Da’? Danilo? Ohi Dani’! Te lo sei perso e lo ritrovi fermo al bordo di una strada che cerca di capire dove piazzare lo sguardo della sua polaroid. Le prime volte cercavo di riprendere le fila del discorso, in seguito ho capito che viene tirato per la maglia dall’oggetto della foto e finché non ha finito non risponde nemmeno se tiri un petardo in mezzo agli ulivi.
Ci ho ripensato a questo lento viaggio sulla striscia di terra, mare e ulivi quando queste immagini sono tornate in mente in un momento rovinosamente fuor i contesto, un giugno rovente mentre ero in ritardo per il lavoro e sudavo sull’autobus stipato di persone ed è successo questo strano fenomeno: ho aperto gli occhi un po’ più del normale ma senza guardare nulla. Quando sei triste o nervoso e all’improvviso capisci un dettaglio fondamentale che si era incastrato nel cervello e non era mai venuto a galla, apri gli occhi di più ma verso un mondo strano, quasi senza nome , che ti sospende un attimo da tutto ciò che c’è intorno. E quando è successo, mi sono ritrovato di nuovo su quella soglia indefinita, con la voglia di tornarci sopra e di tornare in Puglia, mi è sembrato anche che il rumore dell’autobus fosse quello del motore della Renault 4 e quando sono sceso alla fermata ho avuto questo pensiero: dov’è la polaroid? Dov’è Danilo? Che se si potessero fermare un attimo le forme del sogno e del pensiero avrebbero questa stessa pulita esitazione che ho visto in queste foto.

Valerio Callieri